Reputazione, guerra e sindrome cinese

La creazione di valore, per le aziende, dipende dalla reputazione, e cioè da rischi e vantaggi legati alle diverse aspettative degli stakeholder ealle relazioni tra loro. Come definire e “governare” una matrice tanto mobile e complessa in un sistema mondiale fratturato e avvelenato dal Covid19 e dalla guerra?

Abbiamo indicato, finora, solo qualche tratto il più evidente. Proseguiamo per esempi.

  • Sull’energia, in una realtà dipendente dal gas russo, qualunque provvedimento di “distacco” dalle forniture prevede una faticosa e gigantesca ridefinizione della composizione dei fornitori. E si rivela almeno tanto importante quanto lo è la sicurezza delle nostre frontiere orientali. A sua volta questa scelta, etica, strategica ed economica, rappresenta:
  • una gigantesca ricostruzione del panorama degli stakeholder ( ad es. fornitori) mondiali;
  • una maggiore collaborazione su scala europea;
  • un percorso diverso dal previsto per unire indipendenza e resilienza al quadro definito della riduzione delle emissioni;
  • un sentiero convincente, partecipato e consapevole per stakeholders come cittadini, imprese e così via, che includerà anche nuove regole politiche.

Il tutto avviene in un ambito già terremotato dal Covid per quel che riguarda logistica, scambi, materie prime, costi, eccetera. 

La Cina è parte del panorama, ma la prima cosa che viene in mente è la sindrome cinese, cioè: “la Cina sta con la Russia, finirà male”. È un errore gravissimo ascoltare solo la paura e non vedere le opportunità ed i cambiamenti in corso.

  • La Cina ha puntato, per le sue politiche esterne ed interne, non tanto su una Russia aggressiva, ma su una forte internazionalizzazione, rispetto alla quale sia il Covid19 che la guerra hanno portato ad un forte ridimensionamento. La Via della Seta (crescita, espansione, penetrazione tecnologica, acquisizione di asset strategici all’estero, interazione finanziaria) è sbarrata.
  • La gestione del Covid19 secondo la linea totalitaria del “Covid 0” non ha funzionato, , come è evidente soprattutto in aree sviluppate e dinamiche come Shanghai, e le cose stanno cambiando.
  • Il primo ministro Li Keqiang ha lanciato un allarme accorato sulla crescita: «è probabile – ha detto – che i conflitti geopolitici accelerati di quest’anno indeboliscano lo slancio della ripresa economica globale [e] continueranno a spingere al rialzo i prezzi delle materie prime globali, il che probabilmente ridurrà l’avanzo commerciale della Cina».   
  • È anche per questo che la Cina, nonostante le sanzioni già in corso nei suoi confronti, ha deciso di ratificare due convenzioni sul lavoro forzato come “segnale importante” per l’UE, anche se l’accordo «non ha alcuna possibilità finché ci sono sanzioni».

Insomma l’unità europea e americana espone a costi e rischi quella parte del mondo che aveva scelto la collaborazione, anche verso l’oriente. Ma se i valori a cui si ispira la Russia sono quelli della violenza sulle frontiere e della minaccia alla sicurezza, il decoupling, da Putin spingerà l’occidente a cercare più collaborazione ed autonomia al suo interno. Se la Via della Seta si è dimostrata un corridoio inaffidabile, ed a senso unico, la Cina sta sperimentando le conseguenze che un allargamento delle sanzioni può avere al suo interno. Insomma nuove regole e nuovi valori sono indispensabili per tutti.

Può la governance di una azienda, che abbia un profilo locale o globale, ignorare sottovalutare o subire questo mutamento? Un capitalismo “politico” deve contribuire da subito costruire la nuova “casa”. 

Articolo a cura di Massimo Micucci, Direttore Merco Italia

Lo YIN e lo YANG della Reputazione

Elliot S. Schreiber, Ph.D. ex dirigente aziendale, docente ed esperto di organizzazione aziendale, ha recentemente pubblicato un libro piuttosto interessante The Yin and Yang of Reputation Management Eight Principles for Strategic Stakeholder Value Creation and Risk Management

Nel Taijitu (太極圖) il simbolo taoista che tutti conosciamo, Yang è la zona di luce, il bianco e Yin è il buio, il nero, ma attenzione, ogni lato ha un punto dell’altro colore.

Il libro riguarda la relazione tra opportunità e rischi nel Management della Reputazione Aziendale, ed interviene in un dibattito aperto da diversi anni all’interno di associazioni che riuniscono le dirigenze apicali delle aziende Statunitensi.

Da un lato cresce la consapevolezza che i principi prevalenti negli anni ’70 (solo profitto per gli shareholders), incontrano difficoltà intrinseche a garantire la crescita delle aziende e degli stessi profitti, dall’altro cresce la convinzione che le aspettative degli stakeholders (interni ed esterni) hanno un’importanza decisiva nella creazione di valore. Il libro respinge l’idea di una contrapposizione tra stakehlders e shareholders , ma indica con forza una rivoluzione nella considerazione dell’apporto degli stakeholders

Grandi questioni sistemiche come il riscaldamento globale, o la sicurezza, la tragica esperienza della pandemia ed l’ingiustizia sociale hanno reso permanente la condizione di crisi o di instabilità anche nelle economie avanzate. L’accelerazione data dalla digitalizzazione di tutto ha steso l’ala del Cigno Nero su ogni realtà e quasi su ogni tempo.

La centralità degli stakeholders riguarda– secondo Schreiber- non solo la “reputazione” del brand, o le valutazioni sul rischi finanziari, su quelli regolatori, né solamente le crisi ed i “rischi”, “esterni” , ma la stessa “creazione di valore dell’impresa”. In un intreccio “inevitabile” tra rischi e opportunità, tra aspettative e soddisfazione multi stakeholders. Questo dovrebbe ridefinire l’intera cultura aziendale.

Secondo un sondaggio (spesso evocato) di PwC, condotto prima della pandemia, circa il 95% delle aziende prevedeva di subire un rischio di reputazione entro i prossimi due anni. Poi un sondaggio del 2015 di Deloitte ha rilevato che il 78% dei rischi è di natura strategica, non proveniente da fonti esterne, e l’87% degli intervistati ha affermato che il rischio di reputazione è più importante di vari altri rischi strategici.

Secondo molti — ricorda il prof. Schreiber- gli audit interni e le valutazioni della gestione dei rischi aziendalinon sono in grado di valutare i rischi strategici. La maggior parte delle crisi aziendali deriva da valori e culture malsani e/o da illeciti gestionali, in cui le politiche, i sistemi, le pratiche e gli incentivi hanno portato a comportamenti scorretti. Come mai? si chiede Schreiber — e con lui molti dirigenti apicali — le informazioni a disposizione della governance sono in genere insufficienti? Perchè provengono da diverse unzioni o silos (quelli che noi definiremmo compartimenti stagni nda). Ciascuna di queste funzioni affronta la strategia ed il rischio da un punto di vista specifico, che spesso non si allinea con i punti di vista di altre funzioni organizzative. Per migliorare il controllo del rischio reputazionale e quindi del valore per gli stakeholder, i consigli di amministrazione dovrebbero chiedersi: quante volte ci viene presentata una comprensione completa di come l’azienda sta creando valore per i diversi stakeholder, ed i rischi associati? Chi fornisce informazioni su questioni ambientali, sociali e di governance (ESG)?

Pubbliche relazioni, marketing, rapporti con gli investitori, questioni regolatorie , relazioni istituzionali, risorse umane , agiscono spesso come “silos”, operativi e informativi, ma non collaborano e addirittura competono per la “attenzione” di Ceo e del Consiglio di Amministrazione (e per il budget). Al Ceo e al consiglio, o ai comitati in cui è organizzato, le informazioni su opportunità e rischi arrivano segmentate, compartimentate, intrinsecamente contraddittorie .

Nel libro, che indica alcuni principi chiave e fa molti esempi di grande interesse, si individuano ragioni e modalità della creazione di valore da una prospettiva multidisciplinare e multi-stakeholder. Si sostiene che questo approccio può trasformarsi in un vantaggio competitivo …con una cultura in grado di vedere e comprendere meglio sia le questioni interne che quelle esterne prima che vengano prese decisioni strategiche

“Chi governa l’azienda dovrebbe assumere un ruolo più diretto nella creazione e conservazione del valore. I valori e la cultura di solito non sono all’ordine del giorno dei CdA, ma dovrebbero esserlo; sono parte integrante della creazione e conservazione del valore”.

Una visione attuale ed una lettura appassionante

REPUTATION?

In un post su Linkedin, l’amico Arturo di Corinto, docente, giornalista e ricercatore ha denunciato : “Ho scoperto che soggetti e aziende che lavorano nel campo della reputazione online si dedicano anche alla diffamazione online”. “La cosa funziona più o meno così: ti contattano, offrono un pacchetto di servizi, se non li paghi comincia la shitstorm sui tuoi profili”. 

“L’idea che la reputazione costituisca un elemento fondamentale per l’attività economica trae le sue origini in epoca moderna già negli anni Quaranta, quando John Stuart, amministratore delegato del colosso statunitense dell’alimentare Quaker, affermava, non senza una punta di provocazione, “se quest’azienda fosse divisa ti lascerei l’impianto industriale e tutte le apparecchiature e mi terrei il marchio e sono sicuro che otterrei risultati molto migliori dei tuoi”.

Così “ Gianluca Giansante in “Comunicazione integrata e reputation management” (Italian Edition) (p.35).Gianluca Comin (a cura di).  Edizione del Kindle. 

Del resto studi e ricerche sul tema sono aumentati nel tempo.

«La reputazione aziendale è la valutazione complessiva di un’azienda da parte di stakeholder nel tempo. Tale valutazione si basa sulle esperienze dirette degli stakeholder con l’impresa, su ogni altra forma di comunicazione e simbolismo che fornisca informazioni sull’operato dell’impresa e/o un confronto con l’operato di altri principali competitors» (Gotsi, M., Wildon, AM, 2001, pag. 29).

E’ una delle numerose definizioni di una questione  emersa ben prima che se ne discutesse prevalentemente su Internet per indicare una parte dei fattori immateriali che incidono sul valore di un’azienda o di un “marchio”.  

Prima di questa “acquisizione”, ampiamente discussa, il valore di un’azienda era il dominio della contabilità fondato sulle performanceGli analisti finanziari si occupavano solo di questo. Poi con la diffusione di internet e degli strumenti di marketing e advertising online, brand awareness, brand reputation si sono (a volte strumentalmente) sovrapposte. Di qui un’ offerta di “analisi”, unita a quella della “ripulitura” e/o “miglioramento” della “reputazione” nell’ infosfera spesso distorsiva e fondata su pregiudizi. 

  • Il primo bias “presume” che la reputazione corrisponda ad una misura matematica della “positività” o meno di un brand o di una persona  (ad esempio un leader politico), necessariamente se non esclusivamente “sulla rete” o “sui social”. Il Brand è parte della reputazione, è identità, riconoscibilità, ma non “include tutte le aspettative degli stakeholders”  
  • Un secondo equivoco è che una campagna denigratoria, una “crisi” reputazionale, per un grave errore, o per  gli esiti di un processo mediatico, si possano correggere solo con la (indispensabile) protezione legale o con accorgimenti,  nascondimenti, rimozioni (possibili)
  • Il terzo è che sia una questione che riguarda solo “comunicazione e marketing” . La reputazione aziendale  riguarda la creazione di valore per gli stakeholders. Senza preparazione in questa direzione, non c‘è gestione della reputazione . Tuttavia  “velocità” con cui si propaga un danno reputazionale spinge a considerare  come un “incidente” le “crisi reputazionali”  e porta ad un atteggiamento solo “reattivo” e non “costruttivo”

I pericoli dovuti alla velocità cumulativa degli algoritmi, sono abbastanza chiari, ma i rapporti di forza molto squilibrati. Le piattaforme non dovrebbero essere onnipotenti ed opache.  Ma su come muoversi per proteggere  libertà, dignità, privacy e così via le idee e le posizioni non sono altrettanto chiare ed univoche.  

Sul valore di un titolo, di un marchio pesano le opinioni dei “consumatori” che alimentano le vendite, (cui si dedica la pletora di strumenti di marketing ed advertising).  Ma pesano dunque le percezioni , aspettative e giudizi degli stakeholder interni ed esterni, sociali ed istituzionali. 

E contano sempre più   valori come innovazione, di prodotto e di processo,  capacità di attrarre talenti, equitàsostenibilità ambientale  e sociale, governance aziendale.

Già ma chi analizza e misura questa dimensione ? E come?  Di chi fidarsi quando vediamo una classifica ?  Nell’epoca della realtà quantistica siamo tutti un po’ come il gatto di Schroedinger(Quello che può essere vivo o morto a seconda che l’osservatore guardi o meno la scatola in cui è contenuto)  . Un’ analisi che restitusca il  valore di un  “sentiment” on line, rilevato con un automatismo è spesso fuorviante.

La reputazione è comunque un fattore “relazionale” complesso,  non una foto statica o in bianco e nero    

Ha un gran peso la valutazione  di “stakeholder omologhi” (una sorta di costante peer review) e di quelli istituzionali, degli analisti finanziari (che debbono tener conto  interessi diversi), e di tanti pubblici influenti e sensibili a fattori etici ed ambientali. Una reputazione sociale. 

Considerazioni  analoghe valgono per i leaders d’azienda ed  il loro ruolo: nel loro lavoro conta molto la considerazione dei pari: tra ricercatori, professionisti, manager apicali.Tutto questo è difficile da stabilire, misurare  e computare  secondo principi chiari. 

Al centro dovrebbero esserci  TRASPARENZA , INDIPENDENZA E RIGORE 

Chi lavora da (molti) anni sulla misurazione della Reputazione Aziendale usa strumenti come il Global Rep Trak (del Reputation institute) o  il Monitor di Reputazione Aziendale (di Merco) che si fondano su criteri e garanzie internazionalmente riconosciute ed in costante aggiornamento. Solo alcune hanno il pregio di non sovrapporre consulenza ed analisi reputazione e di essere sottoposte a verifica esterna. 

Il ranking Merco ad esempio ha alcuni tratti distintivi

  1. Chi misura deve dire sulla base di quali criteri e cosa esattamente misura, esplicitare il  peso relativo a diversi fattori e rendere conto dei criteri.(Come chi fa sondaggi politici o di mercato dovrebbe rispettare dei criteri nda)
  2. Chi misura non dovrebbe fare consulenza e deve guadagnare dalla qualità di suoi report approfonditi basati sulle analisi raccolte 
  3. Tutto il processo dovrebbe essere oggetto di audit di terze parti 

La misurazione è una premessa dell’azione , ed è decisiva per accrescere il valore atteso dagli stakeholders

Qual è la differenza tra percezione e reputazione?

Secondo le parole di Justo Villafañe (presidente non esecutivo della società di consulenza Villafañe & Asociados, specializzata nella gestione delle risorse immateriali delle imprese), qualora volessimo tentare una differenziazione tra percezione e reputazione, non si andrebbe incontro a nessun problema concettuale. «La percezione è un’interpretazione o un’opinione che può essere o meno vera, l’immagine si basa su questa. La reputazione, invece, si basa su qualcosa di diverso: la realtà». E quando si parla di realtà intendiamo le performance aziendali, performance di governance, risultati economico-finanziari, qualità dell’offerta, servizio al cliente, innovazione, internazionalizzazione…Tutte quelle cose che nella teoria della reputazione aziendale sono note come variabili canoniche di reputazione, assolutamente oggettivabili da un punto di vista empirico.

Premesso quanto sopra, se qualcuno entra in un’azienda e ne esce con un’opinione non convalidata da fatti attendibili e da quella realtà a cui ci riferivamo, quella persona avrà una percezione di quell’azienda, ma potrebbe sbagliarsi completamente. Pertanto, nelle parole di Villafañe, «è un errore, ma credo sia indotto, confondere la reputazione con l’immagine, perché equivale a confondere la realtà con la percezione»